Domande frequenti

Perché migliaia di persone continuano a intraprendere queste traversate pericolose?

Queste persone spesso ci raccontano che non avevano altra scelta se non tentare il viaggio via mare verso l'Europa rischiando la vita. Riferiscono di fuggire dalla violenza, dalla guerra, dalla persecuzione e dalla povertà dei loro paesi d'origine. A prescindere dal paese di origine o dalle ragioni per cui hanno cercato di raggiungere le coste europee, la maggior parte degli individui salvati in questo tratto di mare sono passati dalla Libia, dove sono stati esposti a livelli esecrabili di violenza e sfruttamento.

Molte persone che abbiamo salvato riferiscono di aver subito violenze in quel Paese, mentre parecchie altre raccontano di aver assistito a ad atti brutali contro rifugiati e migranti, tra cui pestaggi, maltrattamenti, sfruttamento e crudeltà ingiustificata. Dopo l'esperienza traumatizzante della fuga dal paese d'origine, la traversata del Sahara e la travagliata sopravvivenza in Libia, spesso non c'è modo di tornare indietro e il pericoloso viaggio via mare è una delle pochissime vie di fuga.

Che ci siano o non ci siano navi di soccorso nel Mediterraneo centrale, le persone fuggono e continueranno a fuggire dalla Libia imbarcandosi su gommoni e barche di legno non sicure. Data la grave mancanza di attività di ricerca e soccorso, i numeri di questa tragica perdita di vite umane continuano ad aumentare. 

Perché MSF resta in mare?

Il Mediterraneo centrale rimane il confine marittimo più mortale del mondo e sono già almeno 824 le persone segnalate morte o disperse nel 2023. Non solo i governi europei girano la testa dall'altra parte, abbandonando le persone per ore, giorni e talvolta settimane in mare senza assistenza, ma stanno anche supportando attivamente un sistema che riporta forzatamente le persone vulnerabili in Libia.

Secondo le Nazioni Unite, la Libia non è un luogo sicuro per sbarcare le persone soccorse in mare. Ma ciò nonostante, nei primi mesi di quest'anno, più di 4.000 persone sono state intercettate e rimpatriate con la forza in un ciclo di abusi senza fine e detenzioni arbitrarie da parte della Guardia Costiera libica, sostenuta dall'UE.

Mentre le nazioni europee si stanno ulteriormente ritirando dalle operazioni navali di ricerca e soccorso gestite dallo Stato, affidando sempre di più il problema alla Guardia Costiera libica per sottrarsi alle proprie responsabilità, le politiche di non assistenza stanno condannando le persone ad annegare. Ancora una volta, spetta alle ONG salvare vite umane in mare e far luce sul bilancio umano delle sconsiderate politiche europee.

Perché ci sono ancora persone che muoiono sulla rotta del Mediterraneo centrale?

Dall'inizio del 2023, almeno 824 persone sono morte o scomparse nel tentativo di raggiungere l'Europa attraverso il Mediterraneo centrale. Queste sono solo le morti ufficialmente documentate. In realtà, non abbiamo idea di quante barche sovraccariche di uomini, donne e bambini salpino ogni giorno dalla Libia in direzione dell'Italia e quante di questi affondino senza lasciare traccia prima di raggiungere le coste o chiedere aiuto. Molti naufragi rimangono non dichiarati o "invisibili".

Le azioni degli Stati membri europei volte a smantellare le operazioni di ricerca e soccorso, criminalizzare gli impegni umanitari per salvare vite umane in mare e l'adozione di politiche migratorie volte a scoraggiare e a trattenere a tutti i costi le persone vulnerabili in Libia, hanno portato solo a perdite evitabili di vite umane in mare. Gli Stati e le istituzioni europee hanno rafforzato il sostegno politico e materiale alla Guardia Costiera libica e al sistema dei rimpatri forzati in Libia.

Le ONG che svolgono attività di ricerca e soccorso non sono una soluzione a questa crisi, ma una misura di emergenza che può ridurre il numero di morti. Questo è il motivo per cui chiediamo all'UE di mettere in atto un meccanismo dedicato gestito dallo Stato per salvare le persone in mare. Si dovrebbe dare priorità all'urgenza di fornire assistenza salvavita e umanitaria adeguata a coloro che rischiano la vita in cerca di sicurezza e di un futuro migliore.

Molte di queste persone provengono da paesi che non sono in guerra. Perché intraprendono questa traversata?

Le ragioni per cui le persone lasciano il paese d'origine sono complesse, ma una volta che si trovano in mare su gommoni fragili e sovraffollati, tutti sono vulnerabili e devono essere salvati e portati in salvo. Molte persone non sanno nuotare e la maggior parte di loro non indossa giubbotti di salvataggio. È una situazione di vita o di morte imminente e il rischio di naufragio è sempre presente.

Le persone non intraprendono questo viaggio con leggerezza, non rischierebbero la propria vita e talvolta quella dei loro figli se avessero a disposizione delle alternative migliori. Una volta fuori pericolo, le esigenze mediche e di protezione devono essere valutate a livello individuale e non in base alla nazionalità o al Paese di origine. A prescindere dal fatto che possano o non possano rimanere in Europa, tutti meritano di essere trattati con dignità e umanità.

Negli ultimi mesi, MSF ha osservato un peggioramento della situazione per i migranti che cercano di raggiungere le coste dell'UE?

È importante mettere in evidenza che, nel 2022, l'OIM ha segnalato 1.377 persone morte o disperse nel Mediterraneo centrale, un numero che potrebbe non rappresentare il vero bilancio degli incidenti mortali, dato che molti naufragi non sono segnalati. Sempre nel 2022, circa 23.600 migranti e rifugiati sono stati intercettati e rimpatriati con la forza nei centri di detenzione in Libia dalla Guardia Costiera libica con il sostegno dell'UE. In questi centri di detenzione, migranti e richiedenti asilo sono detenuti senza valide motivazioni e subiscono maltrattamenti in condizioni disumane. Sono a rischio di estorsioni e abusi sistematici, tra cui stupri e torture. Diversi rapporti internazionali, così come migliaia di testimonianze di sopravvissuti, hanno documentato il trattamento atroce subito dai migranti e rifugiati in Libia. Nel novembre 2021, la missione di inchiesta delle Nazioni Unite in Libia ha dichiarato che queste violazioni sono crimini contro l'umanità.

Le navi delle ONG per la ricerca e il soccorso che navigano nel Mediterraneo incoraggiano effettivamente le persone a rischiare la vita in mare?

È importante sottolineare (e questo è stato chiaramente evidenziato più e più volte) che le persone continueranno a fuggire per tentare di mettersi al sicuro, a prescindere dal fatto che vi siano navi civili di ricerca e soccorso.

Di fatto, le persone non smetteranno di imbarcarsi in questa traversata mortale nonostante i rischi che corrono, anche se il numero di navi umanitarie in mare dovesse progressivamente calare. 

Le organizzazioni umanitarie che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare salvano ogni anno centinaia di persone dall'annegamento.

L'azione umanitaria non è la causa, bensì una risposta a questa crisi.

Le navi di MSF salvano le persone vicino alla costa libica?

Tutti i salvataggi avvengono nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale tra Libia, Malta e Italia, dove si verifica la maggior parte dei casi di emergenza. Normalmente cerchiamo barche in difficoltà nelle acque internazionali al largo della costa libica.

A volte MSF entra in zone contigue durante le operazioni di ricerca e soccorso? In tal caso, non è forse una violazione della giurisdizione libica?

Secondo le leggi e le convenzioni internazionali (UNCLOS, SOLAS, Salvage Conventions), il comandante di qualsiasi nave è obbligato a prestare assistenza alle persone in pericolo in mare senza indugio e con qualsiasi mezzo [UNCLOS Art. 98, regolamento SOLAS n. 33(1)], indipendentemente dalla zona in cui si verifica l'emergenza, se lo scopo è quello di salvare vite umane.

Pertanto, quando una nave conduce operazioni di ricerca e soccorso in risposta a una situazione di assoluta emergenza come lo è il salvataggio di vite in mare, entrare in zone contigue o addirittura in acque territoriali non è mai una violazione delle leggi di uno Stato.

{Applicabilità extraterritoriale del principio di non respingimento. Il principio di non respingimento (articolo 33 della Convenzione sui Rifugiati del 1951) è un altro principio cardine del diritto internazionale dei rifugiati che applichiamo quando eseguiamo operazioni SAR. Questo principio si applica anche alle azioni che rientrano nelle operazioni di ricerca e salvataggio in mare svolte fuori dal territorio dello Stato della Bandiera (ossia fuori dalle sue acque territoriali)}

Perché non riportate le persone in Libia?

Il diritto internazionale afferma chiaramente che le persone soccorse in mare devono essere portate nel luogo sicuro più vicino e un salvataggio non può essere considerato completo fino a quando ciò non accade. Per i salvataggi che si svolgono nelle acque internazionali tra la Libia, l'Italia e Malta, i luoghi di sicurezza più vicini sono l'Italia o Malta. La Libia non è considerata un luogo sicuro di sbarco per migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Gli organismi internazionali ed europei, tra cui le Nazioni Unite e la Commissione europea, lo hanno ripetutamente confermato. MSF, avendo fornito assistenza medica all'interno dei centri di detenzione libici, conosce fin troppo bene la situazione poiché ha assistito alle condizioni disumane di detenzione forzata delle persone costantemente esposte a rischi di maltrattamenti, violenza sessuale e sfruttamento. La maggior parte dei rimpatriati finisce nei centri di detenzione libici. Anche molte delle persone che abbiamo salvato raccontano storie orribili di crudeltà, estorsione, violenza sessuale e lavoro forzato in Libia.

Dato che la Libia non è un luogo sicuro dove far sbarcare le persone che sono state soccorse in mare, chi si trova su imbarcazioni in pericolo non dovrebbero essere intercettato e riportato con la forza in Libia. Le istituzioni europee e gli Stati membri devono porre fine al sostegno politico e materiale alla Guardia Costiera libica e al sistema dei rimpatri forzati in Libia. Gli Stati membri dell'UE devono inoltre indagare urgentemente su eventuali accuse di respingimenti o altri rimpatri illegali.

Perché aumentano le intercettazioni nel Mediterraneo centrale?

Secondo l'IOM, nel 2021, la Guardia Costiera libica ha triplicato le intercettazioni di persone che stavano tentando di attraversare il Mediterraneo rispetto a quelle del 2020. Nel 2021, la Guardia Costiera libica ha intercettato più di 32.400 persone. Nel 2022, circa 23.600 persone sono state rimpatriate con la forza in Libia e in questi primi mesi del 2023 ne sono già state rimpatriate più di 4.000. Secondo Amnesty International, sono più di 82.000 le persone intercettate in mare e riportate in Libia negli ultimi cinque anni.

Nel 2017, il governo italiano ha firmato un accordo sostenuto dall'UE con il governo libico, relativo a un programma di supporto delle autorità di gestione delle frontiere libiche, alle attività SAR in mare e a terra, nonché all'applicazione della legge. Da allora, l'Unione Europea e l'Italia stanno fornendo assistenza materiale e tecnica alla Guardia Costiera libica con i soldi dei contribuenti dell'UE, aumentando la sua capacità di pattugliamento per intercettare le barche in difficoltà, per riportare le persone in Libia.

Di conseguenza, la Guardia Costiera libica finanziata dall'UE ha notevolmente aumentato il numero di rifugiati, migranti e richiedenti asilo intercettati in mare e rimpatriati con la forza in Libia. Ciò ha comportato un grave deterioramento delle condizioni già disperate all'interno dei centri di detenzione libici. La maggior parte di queste strutture manca di ventilazione e luce naturale; alcune sono così sovraffollate che un metro quadrato di spazio viene condiviso da quattro persone costringendole a sdraiarsi e a dormire a turno. Le persone non hanno accesso costante all'acqua corrente e alle strutture igieniche.

Il sostegno dell'UE alla sorveglianza marittima libica, alle intercettazioni e ai respingimenti è inaccettabile e deve essere immediatamente sospeso.

Riportereste persone in Tunisia se vi venisse chiesto? In caso contrario, perché no? 

Per MSF un "luogo sicuro" è un luogo dove le operazioni di soccorso possano essere considerate terminate, dove non sia minacciata la sicurezza della vita delle persone soccorse, dove possano essere soddisfatti i bisogni umani fondamentali (come cibo, riparo e necessità mediche) e le necessità di protezione dei sopravvissuti.

Nessuno dovrebbe essere rimpatriato in un paese in cui deve affrontare torture, trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti e altri danni irreparabili. Questo principio, chiamato "di non-refoulement", si applica sempre a tutti i migranti, indipendentemente dalla nazionalità o dal loro status migratorio. 

La Tunisia non dispone ancora di una legge nazionale in materia di asilo, né di un quadro coerente per la protezione dei migranti. Nonostante la presenza di organismi attivi nella protezione come l'UNHCR e l'OIM nel paese, manca ancora una panoramica del quadro che sia d'ausilio alla protezione dei migranti e dei rifugiati. Pertanto, MSF non può garantire che i servizi di protezione attualmente in atto siano idonei a soddisfare le esigenze di assistenza legale e di protezione a medio-lungo termine dei sopravvissuti soccorsi.  

Poiché MSF percepisce la mancanza di un sistema coerente di asilo e protezione per rifugiati e migranti in Tunisia in grado di garantire loro i diritti fondamentali e soddisfare le loro esigenze di protezione, attualmente MSF non considera la Tunisia un luogo sicuro.

Le ONG in mare aiutano i trafficanti?

MSF porta a termine tutti i salvataggi nel Mediterraneo nel pieno rispetto del diritto del mare e della convenzione SOLAS e sotto il coordinamento dei centri di coordinamento riconosciuti per il soccorso marittimo. Come organizzazione umanitaria, chiariamo che lo scopo delle nostre attività e del nostro impegno in mare è solo ed esclusivamente quello di soccorrere le persone in difficoltà.

Qual è la vostra posizione sulla criminalizzazione dei sopravvissuti come trafficanti?

Gli uomini e le donne, anche minori, che tentano di attraversare il Mediterraneo centrale stanno fuggendo dalla violenza e dalle condizioni disumane in Libia. Noi di MSF vediamo che tutte le persone che si imbarcano per trovare condizioni di sicurezza, compresi coloro che guidano la barca, sono altamente vulnerabili.
 
La nostra lunga esperienza nella ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale ci ha insegnato che alcuni sopravvissuti sono stati costretti a mettersi alla guida della barca poco dopo la partenza, spesso sotto minacce o atti di violenza. Allo stesso modo, in situazioni di estrema difficoltà dovute a condizioni meteorologiche o traumi collettivi, uno dei sopravvissuti, anche se non costretto alla partenza, ha dovuto prendere il comando della barca seguendo il naturale istinto di sopravvivenza. Ciò significa che anche persone non esperte devono guidare una barca e non si tratta di scafisti, bensì di persone vulnerabili proprio come gli altri passeggeri.
 
La conclusione sembra essere ovvia: ciò che mette a rischio la vita dei migranti vulnerabili non è la persona che manovra la barca in mare, ma le politiche migratorie europee. Invece di criminalizzare le persone vulnerabili che cercano solo di raggiungere un luogo sicuro, gli Stati europei dovrebbero garantire percorsi sicuri e legali. Il comportamento aggressivo dei governi e della magistratura nei confronti dei sospetti scafisti ritenuti responsabili di mettere a rischio la vita delle persone, è quindi ingiustificato. Noi di MSF chiediamo maggiore impegno per ridurre i rischi dei viaggi dei migranti creando canali legali di ingresso piuttosto che criminalizzare coloro che, al timone di una barca, cercano di mantenere se stessi e gli altri al sicuro.

MSF è coinvolta in azioni legali contro il governo italiano?

Negli ultimi mesi, sono stati presentati diversi ricorsi per denunciare le pratiche illegittime del governo italiano:

  • Il 22 novembre 2022, MSF ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio contro il decreto interministeriale notificato alla Geo Barents il 5 novembre 2022, che vietava alla nostra nave di ricerca e soccorso di fermarsi nelle acque territoriali nazionali "oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza" solo per le persone che versino in condizioni emergenziali indicate dalle "competenti autorità italiane". Il decreto ha effettuato una selezione illegale e discriminatoria tra i sopravvissuti, consentendo solo a quelli considerati "vulnerabili" di sbarcare, e questo in violazione del diritto internazionale sul soccorso in mare.

  • Il 24 gennaio e il 1° febbraio 2023, MSF ha presentato due ulteriori ricorsi chiedendo l'annullamento dei provvedimenti amministrativi con i quali ci sono stati assegnati i porti di Ancona e La Spezia. Questa misura fa parte di una nuova pratica consolidata che il governo sta applicando a tutte le navi delle ONG di ricerca e soccorso ed è contraria al diritto internazionale. Il tribunale competente valuterà la legittimità dell'assegnazione dei porti di Ancona e La Spezia per sbarcare i sopravvissuti laddove esistono altri porti adatti molto più vicini.

  • Il 2 marzo 2023 abbiamo presentato ricorso presso il tribunale civile di Ancona contro il fermo della Geo Barents basandoci sul fatto che la richiesta dei dati del registratore dei dati di viaggio (VDR) era fuori dal campo di applicazione del diritto marittimo, incompatibile con la pratica comune e priva di una valida giustificazione.